Un metro di distanza può non bastare per evitare la diffusione del virus sia in luoghi chiusi che all'aperto: è quanto sostiene un gruppo di esperi e ricercatori della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), Università di Bari (UniBa) e Università di Bologna (UniBo), autori di un position paper pubblicato nei giorni scorsi, in cui si evidenzia una correlazione tra la presenza di particolato atmosferico nell'aria e la diffusione del coronavirus in determinate aree del Paese. "Il nostro studio - si sottolinea - è condotto con metodo scientifico, basandosi su evidenze. La correlazione è presente. Che i virus si diffondano nell'aria trasportati dalle polveri trova riscontro nella letteratura scientifica. Come trova riscontro il fatto che restino attivi per diverse ore. Perciò è importante ribadire che in condizioni di alte concentrazioni di particolato un metro di distanza tra le persone è necessario ma potrebbe non bastare, sia in ambienti outdoor che indoor. Occorre ridurre le emissioni al minimo e le distanze tra le persone al massimo". Secondo i ricercatori, dunque, "occorre limitare i contatti al minimo in termini di frequenza e numerosità". "Siamo d'accordo con le Arpa, che dicono che non basta solo fermare le auto, non è solo così che si riduce il PM10: abbiamo più volte messo in evidenza - affermano - il ruolo della meteorologia e della necessità di fermare o ridurre anche le altre potenziali sorgenti". "Certo lo studio scientifico va completato, la correlazione non significa incontrovertibile causalità - puntualizzano Alessandro Miani, presidente Sima, Gianluigi de Gennaro (UniBa) e Leonardo Setti (UniBo) -. Il nostro è un position paper per fornire un'informazione tempestiva. Vogliamo mettere nelle condizioni decisori e cittadini di esercitare un legittimo principio di precauzione".
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