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Centinaia d’auto importate dall’estero in modo illecito, attraverso la falsificazione di fatture e senza pagare l’Iva, e rivendute in Italia a ignari acquirenti ad un prezzo comprensivo proprio dell’imposta sul valore aggiunto mai pagata. E’ la presunta frode fiscale contestata all’imprenditore 56enne Raffaele Perrino, che e’ stato arrestato e condotto in carcere dalla Guardia di Finanza su ordine del Gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere; i finanzieri della Compagnia di Capua hanno arrestato e posto ai domiciliari anche uno stretto collaboratore di Perrino, il 56enne Emilio Franco Viti, sequestrando somme per oltre 500mila euro, pari all’Iva evasa, riconducibili ai due arrestati. Nell’indagine denominata “Foreing Cars” e coordinata dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, sono indagate altre dieci persone, in particolare i soggetti che si sono intestati in maniera fittizia le societa’ utilizzate da Perrino per poter effettuare gli acquisti, e due segretarie del 56enne, che materialmente avrebbero predisposto la documentazione falsa; alla fine di ogni giornata – e’ emerso – le due donne distruggevano tutti i documenti commerciali su indicazione dello stesso imprenditore, in modo da non lasciare traccia degli illeciti. I finanzieri hanno anche individuato il capannone dove Perrino e i suoi complici si incontravano per falsificare le fatture. La frode, hanno poi accertato gli inquirenti – avveniva attraverso l’utilizzo da parte di Perrino di societa’ cartiere, esistenti dunque solo su carta; il 56enne ne avrebbe utilizzate otto con sede in Italia e tre in Repubblica Ceca, tutte intestate a prestanomi. Tale societa’ acquistavano le auto provenienti da Germania e Belgio, in sospensione d’imposta, trattandosi di acquisti intracomunitari. Le fatture emesse dalle concessionarie estere venivano poi alterate, e come acquirente veniva posto il cliente privato finale, con la dichiarazione che l’Iva era stata pagata all’estero, cosa non vera. Altra modalita’ si concretizzava con l’indicazione della societa’ cartiera con sede a Praga come venditrice; anche in questo caso l’Iva veniva dichiarata come pagata. Perrino e i soci guadagnavano appunto sul prezzo finale praticato ai privati – comprensivo dell’Iva mai pagata – cui era rivenduta l’auto.
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