Renato Carpentieri e Stefano Jotti ne ‘Le braci’ dall’opera di Sándor Márai, al Teatro Nuovo di Napoli

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Due uomini, ormai anziani, si ritrovano dopo lungo tempo, l’uno di fronte all’altro, e cominciano a ripercorrere gli anni della gioventù, dell’amore, della guerra, con un segreto che, come un’ombra, aleggia su entrambi. E’ concentrata in questa estrema sintesi l’essenza de Le braci, opera dello scrittore ungherese Sándor Márai, che, nell’adattamento di Fulvio Calise e con la drammaturgia e la regia di Laura Angiulli, sarà in scena, mercoledì 23 ottobre 2019 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 27), sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli. A dar vita ai due protagonisti dell’allestimento, presentato da Teatro Coop. Produzioni/Galleria Toledo, saranno Renato Carpentieri e Stefano Jotti, con le scene a cura di Rosario Squillace e il disegno luci di Cesare Accetta.
Il passaggio d’epoca segnato dalla Prima Guerra Mondiale è il luogo temporale in cui l’ungherese Sándor Márai colloca il nucleo retrospettivo del romanzo Le Braci – Le candele bruciano fino in fondo, (il titolo originale, pubblicato nel 1942), un testo legato con filo rosso alla grande tradizione romanzesca, che guarda alla crisi dei grandi miti della società occidentale e al transito in un “nuovo mondo” , rovente e mefitico inferno tropicale da cui fa ritorno il personaggio Konrad, dopo una disonorevole fuga durata quarant’anni.
Fredda e assillante invece l’attesa per il generale Henrik, che aspetta il giorno della rivalsa immerso in un tempo sospeso, fino a un mattino del 1940, quando riceve l’improvviso l’annuncio della sua visita.
L’autore costruisce un testo in cui le attitudini dei due personaggi, Henrik e Konrad, dai caratteri opposti e legati da una antica amicizia, rispecchiano ideali e archetipi ottocenteschi: onore, orgoglio e disciplina nella socialità per il soldato Henrik, melancolico temperamento artistico da poeta per il fuggitivo Konrad.
Sono due uomini alla resa dei conti, due voci che risuonano dagli abissi delle loro vite di solitudine. Sono le braci dell’incendio di un mondo che non esiste più, braci non ancora ridotte in cenere, covate sotto i carboni consunti dell’esistenza trascorsa.
Sopravvissuti al loro tempo, sono entrambi tenacemente rimasti vivi, resistendo stoicamente in una bolla d’attesa, lunghissima, diretta solo al momento cruciale del reciproco rendez-vous. In questo confronto senza esclusione di colpi, una donna, Krisztina. Una donna, per l’appunto, che si aggira come una tigre silenziosa fra le loro vite in un contesto dove le passioni sono poste a freno dalle regole dei comportamenti, e l’istinto di sopravvivenza si afferma di necessità nell’ora delle scelte decisive.


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