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A Napoli la presentazione dello Studio CGIA Mestre: uno spreco di oltre 7 miliardi di euro annuo nella differenza di spesa tra grandi e piccoli Comuni

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In Italia i Comuni incidono solo per l’1,6% sul debito pubblico che per il 96,3% dipende dalle spese delle Amministrazioni centrali. Nel nostro Paese c’è un gap di 533 euro tra spesa pro capite nei grandi comuni, con oltre 100 mila abitanti, e quella degli Enti sotto questa soglia demografica. Sono questi alcuni dei dati principali di una ricerca della CGIA di Mestre su “La finanza locale nelle grandi città e nei Comuni medio-piccoli”, commissionata da ASMEL, l’Associazione per la Modernizzazione e la Sussidiarietà negli Enti Locali con oltre 2800 Comuni soci in tutt’Italia, che sfata molti luoghi comuni sui conti pubblici.

Dalla ricerca, analizzando la composizione del debito pubblico per comparti, emerge che esso è imputabile per il 96,3% alle Amministrazioni centrali – in crescita rispetto al 93,8% del 2010 – e solo per il restante 3,7% a quelle periferiche. Tra esse, i Comuni incidono soltanto per l’1,6%, un dato, per altro, in diminuzione rispetto al 2,6% del 2010. Eppure, proprio sul comparto dei Comuni si sono abbattute più incisivamente le politiche di spending review, con tagli ai trasferimenti, a partire dal 2010, pari a 8,4 miliardi all’anno. Rispetto ai 16 miliardi annui trasferiti a quella data, emerge, dunque una riduzione del 53%, nonostante la quale, i Comuni italiani hanno sensibilmente ridotto il proprio debito, sceso del 38% in un lasso temporale (2010-2018) in cui è, invece, cresciuto del 25,4% quello nazionale. Con i dati della CGIA di Mestre viene ridimensionata anche la diffusa convinzione di possibili risparmi da economie di scala, azzerando i Comuni più piccoli come si è tentato di imporre per anni con norme sull’accorpamento coatto cui l’Associazione si è tenacemente opposta fino alla recente vittoria in Corte Costituzionale, che ha accolto il ricorso Asmel. Emerge, infatti, che, nei Comuni sotto i 5mila abitanti, la spesa per abitante è di 859 euro. Meno della media nazionale e molto meno dei 1287 euro che si registrano sopra i 100.000 abitanti, dove emergono le maggiori spese, con 533 euro pro capite in più rispetto ai Comuni al di sotto di questa soglia demografica. Nei Comuni con oltre 100.000 abitanti vivono 14 milioni di abitanti, e si generano,quindi, aggravi di costo per 7,5 miliardi di euro all’anno. Per non parlare dell’impiego nei grandi Comuni di 8,4 unità di personale ogni mille abitanti, contro la media di 5 unità negli altri.

“Questi dati rappresentano una ulteriore conferma di quanto sosteniamo da anni – fa notare Francesco Pinto, segretario generale ASMEL – e cioè che i piccoli Comuni sono virtuosi perché attaccati alle proprie radici ed identità. Quelli sotto i 5mila abitanti, ove vive il 16,5% degli italiani, controllano il 54% del territorio e vanno perciò tutelati ed assistiti. Per tagliare gli sprechi, invece di accorpare i piccoli, bisogna imporre ai grandi un reale trasferimento di risorse e personale nelle circoscrizioni municipali. È la vicinanza dei cittadini ai centri di spesa che rende i piccoli Comuni virtuosi e vitali”.Dai rifiuti all’acquisto di beni e servizi: gli sprechi nei grandi Comuni e le imposizioni del modello Consip bacchettate dall’ANAC. Ci sono poi alcuni settori di spesa con dati quanto mai significativi. Per la raccolta dei rifiuti nei Comuni oltre i 100 mila abitanti, la spesa pro capite è più del doppio, 236 euro, di quella degli altri Comuni che, con una spesa di soli 103 euro, raggiungono percentuali di raccolta differenziata incomparabilmente superiori.

Ancora più marcata la differenza tra la spesa per acquisti di beni e servizi: 742 euro pro capite nei grandi Comuni, a fronte dei 398 euro spesi negli altri. “Proprio quest’ultimo dato è una evidente riprova degli aggravi di costo che denunciamo da sempre – incalza Pinto – imposti da vincoli sugli acquisti centralizzati, modello Consip, difficilmente eludibili nei grandi Enti. E’ la stessa ANAC, nei risultati di un’indagine condotta sugli Enti che avevano eluso gli obblighi derivanti dalla selva inestricabile di norme pro Consip, a definire abili e virtuosi i Comuni che avevano ottenuto condizioni e prezzi migliori, violando la legge. Al contrario, le convenzioni Consip analizzate vengono definite, sia pur con garbo istituzionale, migliorabili dal punto di vista economico, a parità di prestazioni”. Su questo fronte, Asmel fa notare che, Consip è un termine citato 436 volte in Gazzetta Ufficiale, nell’ambito di 117 provvedimenti normativi. “Manca solo il motto: Io sono Consip e non avrai altra Consip al di fuori di me” chiosa Pinto.

Nel corso del Forum Asmel “L’Autonomia che fa la differenza”, che si terrà lunedì 24 giugno a partire dalle 9.30 all’Hotel Ramada di Napoli, i risultati della ricerca della CGIA di Mestre verranno presentati dal coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo. Seguirà un dibattito, coordinato da Gianni Trovati, editorialista del Sole24Ore, a cui parteciperanno Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio Conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano e i dirigenti ASMEL. “Oltre a sostenere il sistema produttivo locale, con ricadute positive sulla comunità – afferma Paolo Zabeo – da sempre i lavori pubblici dei piccoli Comuni sono affidati a realtà che non solo operano, ma vivono lo stesso territorio. Tutto questo innesta un processo virtuoso che è sinonimo di garanzia, di efficienza e di qualità del lavoro svolto. Per questo bisogna aiutare i piccoli Comuni, perché cosi facendo si aiutano anche le piccole imprese a crescere e a migliorare la qualità della vita di tutti noi”.


Articolo pubblicato il giorno 21 Giugno 2019 - 14:27

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