Il Comune di Arezzo intitola una strada a Oriana Fallaci

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Una strada intitolata a Oriana Fallaci. A ricordare la giornalista e scrittrice fiorentina è il Comune di Arezzo che proprio questa mattina, per mano del sindaco Alessandro Ghinelli, alla presenza dei parlamentari Riccardo Nencini e Tiziana Nisini, ha inaugurato la targa.
“Si tratta di un gesto di grande sensibilità da parte del Comune di Arezzo, sono molto felice che anche Arezzo abbia una strada dedicata ad Oriana Fallaci”, ha commentato Riccardo Nencini. Il sindaco Ghinelli ha spiegato che “con la scopertura della targa si completa un iter partito qualche tempo fa per l’intitolazione della strada a Oriana Fallaci. La nuova denominazione anche i soccorsi dato che la vecchia denominazione di via Trasimeno comprendeva anche questo tratto in realtà interrotto dalla ferrovia e dunque spesso foriero di errori per le ambulanze”.
Durante gli ultimi anni di vita, la posizione di Oriana Fallaci (1929 – 2006) contro l’Islam, in seguito agli attentati dell’11 settembre, fece molto discutere. Al tempo viveva a New York dove si era trasferita in seguito alla pubblicazione di “Insciallah”. Viveva in un villino a due piani di Manhattan dove si creò una specie di isolamento. I suoi dodici libri hanno venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo. Come reporter resterà nella storia la famosa intervista all’ayatollah Khomeini, durante la quale la Fallaci gli rivolse domande dirette sulla condizione dela donna in Iran dandogli del “tiranno”. Si tolse il chador che era stata costretta a indossare per poter incontrare Khomeini e dopo questo gesto l’ayatollah le disse che la veste islamica era per donne “perbene”, abbandonò la stanza e concluse l’intervista il giorno seguente. All’affronto della reporter, l’irritato Khomeini fece riferimento a lei chiamandola “quella donna” e indicandola come esempio da non seguire. Oriana Fallaci morì di cancro ai polmoni a settantasette anni, a Firenze come da suo desiderio: “Voglio morire nella Torre dei Mannelli guardando l’Arno dal Ponte Vecchio”. Era il quartier generale dei partigiani che comandava mio padre, il gruppo di Giustizia e Libertà. Azionisti, liberali e socialisti. Ci andavo da bambina, con il nome di battaglia di Emilia. Portavo le bombe a mano ai grandi. Le nascondevo nei cesti di insalata.”


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