Beni per un valore complessivo di circa 40 milioni di euro sono stati confiscati dalla Guardia di Finanza di Palermo agli eredi di Ezio Brancato, l’ex funzionario della Regione Sicilia “che aveva effettuato nel corso degli anni investimenti in alcune imprese palermitane, coinvolte, a partire dagli anni ’80, nel complesso processo politico imprenditoriale che ha portato alla realizzazione della rete di metanizzazione in Sicilia”, spiegano le Fiamme gialle, “nonché ai profitti derivanti dalla loro gestione e successiva vendita, avvenuta nel gennaio 2004, a favore della multinazionale spagnola ”Gas Natural”, per un valore di oltre 115 milioni di euro, di cui oltre 46 milioni rappresentavano il profitto della cessione delle quote pagato a Maria D’Anna e alle figlie Monia e Antonella Brancato”. I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, coordinati dalla Procura della Repubblica di Palermo, stanno eseguendo la notifica del provvedimento, emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, di confisca connesso agli investimenti della mafia corleonese nelle società di distribuzione del gas, disposta su numerosi beni mobili e immobili, aziende, disponibilità finanziarie, contanti e preziosi, in Italia, Spagna e Andorra. Il decreto di confisca è stato disposto nei confronti di Maria D’Anna, 72 anni, e delle figlie Monia Brancato, 45 anni e Antonella Brancato, 36 anni, rispettivamente, vedova e figlie di Ezio Brancato, deceduto nell’anno 2000. In particolare, Brancato era socio di sei società facenti capo al cosiddetto ”Gruppo gas” con sede a Palermo, “ritenute, come accertato dalle indagini nel tempo eseguite, sotto il controllo dei noti esponenti mafiosi Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano”. “Le numerose e convergenti propalazioni di collaboratori di giustizia e di atti riguardanti le imprese interessate hanno evidenziato la contiguità di Ezio Brancato, e dei suoi eredi, a Cosa Nostra, attraverso le partecipazioni dagli stessi detenute nel ”Gruppo Gas””, dicono le Fiamme gialle. In particolare, i diversi collaboratori di giustizia hanno riferito che il ”Gruppo GAS” era un’espressione di “Vito Ciancimino il quale era – scrivono i giudici del Tribunale -”l’interfaccia dei noti Salvatore Riina e Bernardo Provenzano”. In questa ottica il ”Gruppo Gas”, attraverso i sub appalti concessi ad imprese “vicine alla criminalità organizzata, avrebbe interagito con Cosa Nostra in una logica di ”reciproco vantaggio”, atteggiandosi come una ”impresa collusa mafiosa”, tale da ritenere il condizionamento mafioso esteso all’intera compagine sociale del medesimo ”Gruppo Gas””.
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