Salerno, il marito voleva costringerla ad abbandonare il neonato: ‘salvata’ dalla casa famiglia

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Salerno. Si è conclusa con un lieto finale la storia di una giovane donna incinta e massacrata di botte dal marito. E’ stata salvata dall’associazione Progetto famiglia affido di Salerno, nata nel 2012 proprio per supportare le famiglie in evidente stato di difficoltà. La giovane donna era scappata con l’altra figlia per poi essere raggiunta dal marito che non soltanto la convince a tornare a casa ma anche di abbandonare il neonato in ospedale dopo il parto. Lei non è d’accordo, vuole tenere il bambino ma le disastrose condizioni economiche in cui versa e, trovandosi completamente in balia di un marito padrone, firma per partorire in anonimato e rinunciare a suo figlio. Qui, per fortuna, interviene l’associazione che, lavorando di concerto con il tribunale per i minori e i servizi sociali, ha adottato la madre e i suoi bambini riuscendo a tenerli insieme anche quando i servizi sociali, considerate le condizioni ecoomiche della donna, volevano dare in affido entrambi i suoi figli.
La presidente dell’associazione, Rosanna Amoruso, da volontaria ha seguito l’intera vicenda, accompagnando la donna in sala parto, facendo da garante con i servizi sociali e occupandosi in prima persona di quella famiglia monogenitoriale riuscendo a trovare un lavoro stabile alla madre e assicurando un’istruzione ai due bambini di cinque e di tre anni, oggi, sono sereni e continuano ad essere supportati dall’associazione che si occupa di accompagnarli a scuola e di dargli assistenza quando sono malati e la madre è al lavoro. 
“Quando ho conosciuto quella giovane donna – ha raccontato Rosanna Amoruso all’edizione di Salerno del quotidiano Il Mattino – era in avanzato stato di gravidanza e non aveva mai fatto nemmeno un controllo medico. Avevo capito subito che voleva tenere il bambino e, insieme alle altre volontarie dell’associazione, ci siamo date da fare affinché facesse tutte le visite necessarie. Quando però il marito l’ha raggiunta, lei convinta di non farcela da sola, ha ceduto e ha firmato per partorire al Ruggi in anonimato e rinunciare al bambino. Mi ha chiamata di notte, si erano rotte le acque, era terrorizzata e non sapeva cosa fare. Sono andata a prenderla con altre due volontarie e l’abbiamo accompagnata in ospedale. Alle sei del mattino siamo entrate in sala parto; quando il piccolo è nato, la sua mamma aveva cambiato idea: non lo avrebbe mai abbandonato. Abbiamo convinto il padre del bambino a riconoscere il figlio che, oggi, come la sorellina porta il suo cognome. Nei mesi successivi i servizi sociali monitoravano costantemente la situazione e non c’è voluto molto a capire che il papà dei bambini non era cambiato e che la vita per quella donna ed i suoi figli era un inferno. È stato allontanato e, lei, si è trovata di nuovo da sola: senza un soldo, senza un lavoro, senza nessuno a parte noi. Per i bambini presto sarebbero partite le procedure per l’affido, così siamo nuovamente intervenuti con l’associazione e abbiamo fatto partire collette per tutto il necessario per il bambino, dando vita ad una vera e propria gara di solidarietà. Siamo riusciti anche a trovarle un lavoro che, assicurandole una busta paga dignitosa”.




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