A distanza di quasi 22 anni due persone sono state arrestate per l’omicidio del geometra 29enne Vittorio Rega, avvenuto nelle campagne di Maddaloni il 30 luglio 1996. Gli agenti della Squadra mobile casertana hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Napoli su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di due esponenti del clan camorristico Belforte di Marcianise. Il provvedimento di custodia cautelare è stato eseguito ai danni di Antonio Bruno, 61enne, e Pasquale Cirillo, 47 anni, entrambi già detenuti in carcere rispettivamente a Santa Maria Capua Vetere e Milano-Opera.
Le indagini hanno permesso di ricostruire un quadro accusatorio che, portando alla riapertura del procedimento, ha consentito di fare luce sia sulle dinamiche che hanno portato all’omicidio sia sulle modalità di realizzazione e sulle responsabilità individuali degli indagati. Confermata anche la matrice camorristica dell’agguato, considerato tra i più efferati di quegli anni. Come emerse fin dalle prime battute investigative, infatti, il giovane Vittorio fu ucciso semplicemente perché si trovava “al posto sbagliato al momento sbagliato”, ma soprattutto perché guidava un’auto identica a quella utilizzata dal vero obiettivo del raid: Giovanbattista Tartaglione, storico affiliato al clan Piccolo che, appena due mesi dopo l’omicidio di Vittorio, fu rinvenuto carbonizzato nelle campagne di Caivano, all’interno di una Fiat Punto. Le indagini sono state sviluppate ripercorrendo e integrando, con le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ogni tappa investigativa raggiunta fin dalle prime battute, quando una volante del Commissariato di Maddaloni, nella mattinata del 30 luglio ’96, intervenne in località “Fontana Olmo Cupo” per la segnalazione di un uomo ferito. I poliziotti trovarono una Honda Civic Lsi di colore celeste con il motore spento, il freno di stazionamento azionato e lo stereo ad alto volume. Nelle immediate vicinanze dell’auto, seduto per terra, c’era Rega che, ancora cosciente, aveva ferite d’arma da fuoco alla schiena, al torace e alle gambe. La vittima riuscì a raccontare che, mentre era in giro per svolgere delle commissioni per conto del suo datore di lavoro, era stato inseguito da alcune persone che, dopo averlo ferito, gli avevano anche chiesto “cosa ci facesse in quel luogo”. Gli immediati soccorsi, tuttavia, non riuscirono a salvargli la vita: trasportato all’ospedale di Maddaloni, morì circa 30 minuti dopo.
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