Infiltrazioni dei Casalesi negli appalti della Regione, l’ex senatore Udeur Barbato condannato a 7 anni

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Caserta. Salta la richiesta di ricusazione dei giudici: va a sentenza il processo Medea per le infiltrazioni del clan dei Casalesi negli appalti della Regione Campania, nel settore idrico. E con la sentenza è arrivata la condanna per l’ex senatore Udeur, Tommaso Barbato, assurto agli onori delle cronache per il famoso sputo in parlamento, nel febbraio 2008, al sentatore Nuccio Cusumano, in occasione della mozione di sfiducia al Governo Prodi. I giudici del Tribunale Napoli Nord-
collegio presieduto da Domenica Miele – hanno condannato il politico a 7 anni di reclusione. Barbato, funzionario regionale addetto proprio al settore idrico, rispondeva di corruzione con l’aggravante mafiosa. Nel settembre scorso, poco prima che terminasse l’istruttoria dibattimentale, fu ascoltato in aula anche il sindaco di Benevento Clemente Mastella, in qualità di leader dell’Udeur negli anni in cui vi militava Barbato.
I giudici hanno disposto la pena di 13 anni e sei mesi, per l’imprenditore Giuseppe Fontana, ritenuto vicino al clan di Michele Zagaria, alle cui ditte, è emerso durante il dibattimento, sono finiti gli appalti regionali concessi grazie alla complicità di Barbato. Fontana si era reso protagonista anche di un ultimo tentativo di far slittare la sentenza; i suoi legali avevano infatti presentato, nella scorsa udienza del 24 gennaio, istanza di ricusazione del collegio presieduto dalla Miele, ma ieri la Corte d’Appello di Napoli ha bocciato la richiesta dando il via libera alla sentenza. I giudici hanno anche condannato a quattro anni e sei mesi Alessandro Cervizzi, l’ex carabiniere del Comando Provinciale di Caserta che avrebbe cercato di aiutare Fontana ottenendo in cambio soggiorni per il figlio in una villa dell’imprenditore al Sestriere. Due anni invece per Carmine Lauritano, accusato di intestazione fittizia di beni. Assolti, invece, Orlando Fontana, fratello di Pino, difeso dall’avvocato Giuseppe Stellato, accusato di aver acquistato la pen drive del boss Michele Zagaria da un poliziotto che partecipò alla cattura nel covo di via Mascagni a Casapesenna il 7 dicembre 2011; il finanziere Silvano Monaco, difeso dall’avvocato Mariano Omarto, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio e Vincenzo Pellegrino, difeso da Carlo Taormina, accusato di essere un imprenditore colluso con il clan dei Casalesi e per il quale l’accusa aveva chiesto una condanna a 10 anni di reclusione. Tra novanta giorni il deposito delle motivazioni.


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