Enrico Amelio, l’imprenditore edile di Mugnano vittima di un agguato di camorra nel 2006, fu ammazzato dai sicari del clan Polverino. Lo ha ribadito nel corso del processo che si sta svolgendo davanti ai magistrati della quarta sezione della Corte d’Assise di Napoli, il collaboratore di giustizia Roberto Perrone, per anni braccio destro del boss Giuseppe Polverino.
Il collaboratore di giustizia ex uomo di riferimento dei Polverino nel comune di Quarto, ha spiegato di aver appreso dalla televisione della morte di Amelio, suo amico, mentre era in carcere e di avere poi parlato di quella vicenda con Castrese Paragliola, sempre durante il periodo della sua detenzione. “Fu Paragliola a confermarmi che ad uccidere Enrico Amelio erano stati gli uomini del clan Polverino”, ha ribadito in videoconferenza Perrone.
L’imprenditore pagò con la vita perché lo zio, Leonardo Carandente Tartaglia, mise gli occhi su alcuni terreni, nel comune di Quarto, oggetto degli interessi della cosca che ne avrebbe ricavato almeno tre milioni con una speculazione edilizia. Ma Amelio doveva avere soltanto una “lezione”: la gambizzazione, si trasformò in omicidio perché uno dei quattro proiettili che lo centrarono alle gambe recise l’arteria femorale dell’imprenditore, provocandone la morte.
“Per l’organizzazione dell’agguato – ha ricordato Perrone – furono convocati anche Giuseppe Perrotta e Salvatore Liccardo”. Nell’agguato, a vario titolo, secondo le tesi formulate dall’accusa, furono coinvolti Claudio De Biase, indicato come l’esecutore materiale, Salvatore Liccardo, Salvatore Simioli, Salvatore Cammarota e Gaetano D’Ausilio, altro collaboratore di giustizia già ascoltato dagli inquirenti nei mesi scorsi.
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