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Pompei Città si appresta a celebrare i Novanta anni con una mostra senza …mostri

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Assorto nella fredda e nebbiosa umidità di una di queste ultime sere, attraversavo i giardini comunali deserti di persone ma popolati da improbabili animali luminosi e colorati, modesti epigoni o resti dimenticati di di luminarie accorsate. Fui attratto dal bagliore bianco di un portale di Palazzo De Fusco, solitamente chiuso da anni e mi accorsi di essere richiamato dall’ingresso di una mostra allestita e inaugurata da circa una settimana, quasi all’insaputa della Città Nuova che la ospiterà fino al 13 Gennaio. La Mostra reca il titolo : Pompei 90 anni dopo. Essa e’ il risultato dell’impegno del PhotoCLUB at Pompei, che cede a un eccesso di anglismo, ma riesce a cogliere nel segno. Essenziale ma gradevole è infatti l’ambientazione dell’area espositiva, a cui gli ambienti disponibili “vanno larghi”, nel senso che essi superano le necessità espositive delle fotografie, di buona qualità, che vi sono esposte. Ci soffermiamo su di una soltanto, che attrae il visitatore all’inizio del percorso espositivo. Essa ritrae la zona della cosiddetta porta Anfiteatro, che poi una Porta Urbana antica non è, ma viene chiamata ancora così. E’ uno scatto di autore anonimo risalente l’immediato dopoguerra, l’anno 1944. E si “legge” in essa una Pompei stracciona ma febbrilmente operosa, che richiama le pellicole del cinema neorealista italiano più crudo e toccante. Veramente una immagine rara. Ma nel percorso espositivo si colgono tante altre interessanti viste a volo di uccello e altre viste riprese da punti circostanti singolari, quasi sempre originali. Immagini pulite ed essenziali, mai scialbe. Immagini a scala urbana e territoriale che si alternano ad altre immagini a scala più ridotta che fissano aspetti particolari o singolari degli edifici, monumentali e non, che la caratterizzano. I due autori delle foto, Alfredo Contaldo, un architetto e Adriano Spano un fotografo colto, si integrano bene e riescono a dare senso alla mostra, allestita con un apprezzabile risultato finale, nonostante il “troppo bianco” complessivo e accecante dei locali espositivi del mai decollato Museo Temporaneo d’Impresa. Esso potrebbe svolgere un ruolo significativo in attesa, come speriamo, del MAP-Museo Archeologico Pompeiano nel centro della Città nuova. E a costo zero, anzi con ricadute positive sull’economia moribonda del centro urbano, se affidato a un Direttore artistico capace di “spendere” bene il nome di Pompei, al di là delle asfittiche conventicole locali. Alla fine del percorso espositivo della Mostra il visitatore si rende conto di avere avuto la possibilità di cogliere immagini significative e “impreviste” – altrimenti sfuggenti – di Pompei, la città viva. Quella che io preferisco chiamare la Terza Pompei, che vive una sua vita quotidiana fatta di persone qualunque che costituiscono il suo patrimonio anonimo ma originale.
La Terza Pompei, quella civile, laica e vivente, destinata in genere alla soccombenza nel confronto con le altre due più famose e immanenti Pompei. Quella degli Scavi Archeologici più celebri al mondo, nodo cruciale dell’archeologia romana e quella del celeberrimo santuario della Madonna del Rosario, luogo mariano per eccellenza.
Ma non sarà così per il futuro, anche prossimo, se emergerà una classe dirigente capace di interlocuzione paritaria con i due “mostri sacri” immanenti della realtà trina pompeiana: Chiesa e Scavi. Questa mostra ne è un esempio concreto. Una mostra che fa a meno dei Mostri sacri. Una Mostra senza Mostri, consentitemi il banale gioco di parole. Ma può segnare un inizio di inversione di tendenza. In attesa del MAP, il Museo Archeologico Pompeiano, in centro Città. Sarebbe l’atteso riscatto della Terza Pompei, quella che finora è sempre stata la più sfigata tra le TRE POMPEI, diciamocela tutta. E impegnamoci tutti.
Il Catalogo della Mostra infine – curato dagli stessi autori, ai quali va il nostro apprezzamento – contribuisce a far rimanere impresso nel visitatore occasionale il “film” della Mostra, e reca tra le belle pagine l’eccezionale contributo di Adrian Maben, il regista franco-scozzese del film-concerto dei Pink Floyd: Live at Pompeii risalente al 1972, ma ancora evergreen nella memoria dei pompeiani.

Federico L. I. Federico


Articolo pubblicato il giorno 29 Dicembre 2018 - 16:44

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