Rarrǝca Book Festival unisce cultura e comunità
Si è appena conclusa la prima edizione del Rarrǝca Book Festival, andata in scena il 5 e 6 luglio nel suggestivo borgo di Caggiano, in provincia di Salerno.
Un progetto nato dall’incontro tra le energie della comunità locale — rappresentata da Simona Cafaro e Francesco Castellucci — e quelle della scena culturale napoletana, con la partecipazione degli scrittori Giancarlo Piacci e Marco Raio.
Una sinergia che, come una scintilla, ha trasformato un’idea in un laboratorio vivo di relazioni e visioni, dove alla letteratura è stato affidato il ruolo di motore di crescita collettiva e radicamento culturale.
Un inizio che non solo entusiasma, ma che mostra già una direzione precisa e promettente.
In questo contesto di fermento e rinnovata attenzione alla dimensione territoriale della cultura, la scelta degli ospiti da parte degli organizzatori è apparsa mirata e consapevole, distinguendosi per una selezione capace di proporre una dimensione culturale disposta ad illuminare zone ancora sommerse del nostro immaginario collettivo.
All’interno di questa visione si colloca perfettamente l’esperienza di Narvhal, giovane casa editrice presente al festival con la mostra Jole Tognelli.
Abbiamo incontrato Giuseppe Maria Marmo, cofondatore del progetto: giovane, determinato, con idee nitide e animato da un entusiasmo lucido e contagioso. Con lui abbiamo dialogato per approfondire lo sguardo che anima questa realtà editoriale — tra visioni radicali, sogni futuri e la sfida quotidiana di costruire cultura a partire dai margini.
Siete una giovane casa editrice indipendente, fondata nel 2024. Come nasce il nome “Narvhal” e quale messaggio racchiude questa scelta?
Il nome nasce dal narvalo: nella simbologia totemica animale simboleggia unicità e libertà, ed è proprio questo che cerchiamo nei testi. Oggi si pubblicano davvero tantissimi libri e, quindi, per fare la differenza, per creare una nicchia e una riconoscibilità, bisogna fare una selezione profonda e radicale.
Crediamo che i libri veri, quelli letterari — per come li intendiamo noi — siano testi capaci di porre molte domande, che scavano in profondità, che aprono crepe. Queste crepe non sempre vengono colmate, ma l’importante è riuscire a trovare quel tassello che manca nell’individualità.
L’alterità, dopotutto, è anche questo: uno scontro con il diverso. Un libro, secondo noi, non deve mai essere conciliante. Per questo lo scrittore deve sentirsi libero di mettere tutto se stesso e la propria visione del mondo, quasi sabotando il quotidiano.
Quindi cercate autori che si riconoscano in questa dimensione?
Esatto. Abbiamo due collane specifiche: una di ripescaggi che si chiama Sommersi, che richiama anche la coda del narvalo; e un’altra dedicata ai grandi scrittori internazionali, chiamata Emersi, perché il corno del narvalo punta sempre verso il cielo.
“I Sommersi” sono grandi autori che, per qualche motivo, sono stati ostracizzati dal sistema editoriale.
Ad esempio, abbiamo pubblicato Mario Picchi: è stato un grande critico letterario, uno scrittore, un traduttore (ha tradotto I Miserabili), e nel 1964 ha pubblicato un testo con Einaudi, fortemente voluto da Calvino. Poi è scomparso dall’ambiente editoriale perché ha osato criticare Montale in un periodo in cui non si poteva fare. Inoltre aveva un carattere ostico, ma aveva il coraggio e l’irrequietezza di dire ciò che pensava.
E invece per la collana di ”Grandi scrittori internazionali”, cerchiamo autori molto noti all’estero, che però — per motivi spesso legati alla complessità della scrittura o ai temi trattati — non sono mai arrivati o non hanno avuto fortuna in Italia. Per esempio, abbiamo pubblicato Yoko Tawada, una delle cinque scrittrici giapponesi viventi più importanti al mondo, recentemente vincitrice di un prestigioso premio e candidata al Nobel lo scorso anno, che però In Italia non era ancora arrivata. Noi facciamo proprio questo tipo di ricerca.
Questo è ciò che vi distingue dalle altre case indipendenti? O c’è altro in particolare?
Bella domanda, ma difficile. In realtà, andiamo molto d’accordo con le altre piccole case editrici. Ognuna ha la propria nicchia, e questo è giusto. C’è sicuramente una radicalizzazione tematica, ma c’è anche molta selezione.
Più che altro, ci poniamo un po’ in contrasto con la grande distribuzione e con l’editoria mainstream, che a volte pubblica anche bei testi, ma che spesso sommerge il mercato con titoli che — secondo noi — non valgono la pena di essere letti.
All’interno del Rarrǝca Book Festival, la casa editrice Narvhal ha portato non soltanto la propria voce editoriale ma anche una proposta artistica fortemente connessa alla propria visione culturale: la mostra Jole Tognelli. Abbiamo voluto esplorare con loro il significato di questa espressione editoriale che si inserisce nel format “Interspazi” — un dispositivo pensato per far dialogare la letteratura con altri linguaggi, rompendo i confini del già noto.
Perché avete scelto di dedicare una mostra ad Jole Tognelli; qual è secondo voi il valore culturale delle sue opere?
Questo rientra nel nostro format che chiamiamo Interspazi, un modo per “aprire le bolle”. Spesso il mondo editoriale è chiuso, autoreferenziale. Noi invece pensiamo che l’arte debba comunicare. Esistono linguaggi che si muovono tra la letteratura, la musica, il cinema, e così via.
Lo facciamo fin dall’inizio. Alla nascita della casa editrice, ad esempio, abbiamo presentato il progetto accompagnandolo con una mostra fotografica: il fotografo aveva letto i libri e poi scattato immagini ispirandosi alle suggestioni dei testi. Crediamo sia un modo efficace per costruire un mondo fertile, che possa avvicinare anche chi normalmente si sente distante da certe forme d’arte. Ognuno si riconosce in quella che sente più affine. L’arte dovrebbe mettere in discussione, ma anche mettere in comunicazione.
C’è un’opera nella mostra che considerate particolarmente significativa?
In realtà siamo legati a tutte le opere della Tognelli. Ci riconosciamo nella sua visione del mondo, che sentiamo vicina a quella degli autori che pubblichiamo. Lei si poneva sempre in contrasto con la norma.
Diceva che bisognava vivere tra estasi e disincanto; non cercare risposte, ma porsi domande per poter contemplare le cose belle.Secondo lei bisognava uscire dalla concezione utilitaristica del tempo, lasciarsi andare, vivere, essere. Emergere e sommergersi, per poi riemergere nell’opera. L’osservazione, per Tognelli, è un atto che va in profondità — non deve servire a qualcosa, ma a sentire.
Un pensiero che sembra legarsi bene anche alla vostra filosofia editoriale…
Esattamente. Anche per noi ogni libro è una sfida. Vogliamo creare connessioni tra le varie forme artistiche. Una casa editrice fa pensare subito ai libri, ma noi non siamo solo quello.
Che cosa rappresenta per voi la partecipazione al Rarreca Festival?
Quando ci hanno invitato siamo stati davvero felici. Anche perché, pur lavorando per lo più a Roma, veniamo dalla provincia — da San Rufo, precisamente — e restiamo molto legati a quel territorio. Vogliamo portare in provincia ciò che forse a noi, crescendo lì, è mancato. Vedere che ci sono persone, soprattutto giovani, che si impegnano per creare qualcosa di bello ci ha emozionati.
Cooperare in questi luoghi, creare sinergie positive, è fondamentale per scardinare quella retorica secondo cui in provincia “non succede mai nulla”. In realtà, le cose si fanno. Serve solo voglia di partecipare, di mettersi in gioco. E anche di sporcarsi le mani, se serve.
Quali sono i vostri progetti futuri? Avete in programma delle pubblicazioni o iniziative culturali specifiche?
Sì, allora… sicuramente festeggeremo il compleanno della casa editrice a Roma, il 19 luglio. Lo faremo al Bar Volo, un locale molto attivo anche dal punto di vista artistico a Torpignattara.
E poi parteciperemo a Mulini in festa, il 26 luglio sempre qui a San Pietro, nel Vallo di Diano. Lì organizzeremo un piccolo salotto letterario, con letture a cura di attori — interpreteranno brani dei testi che abbiamo pubblicato — e ci sarà anche un piccolo rinfresco. Poi pubblicheremo un testo che definirei un piccolo “ripescaggio”, una fiaba.
È un libro un po’ diverso da quelli pubblicati finora: direi intergenerazionale, può arrivare a chiunque. Stiamo pensando anche di affiancarlo a qualche illustrazione. È un libro surreale, perciò l’idea visiva ci piace. Nel 2026, pubblicheremo la prima traduzione italiana di un autore kurdo-iracheno. Non posso ancora fare il nome, ma siamo molto fieri di questo progetto.
In un panorama editoriale sempre più saturo e frammentato, la nuova casa editrice indipendente Narvhal, fondata nel 2024, si distingue per un’impronta poetica e radicale, capace di sfidare l’omologazione e aprire nuovi varchi di senso. La sua presenza al Rarrǝca Fest si è fusa con l’anima stessa dell’iniziativa: esperienze come quella di Narvhal Edizioni dimostrano che le radici evocate dal nome della manifestazione possono spingersi lontano, generando un orizzonte letterario più ampio, più libero. Addirittura necessario.
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