I fatti del giorno

Operazione ‘Macumba’, la Finanza sequestra 500mila capi contraffatti prodotti a Napoli e venduti da africani

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Una vera e propria filiera della contraffazione smantellata, dalla produzione alla vendita, e oltre 500 mila capi sequestrati tra abbigliamento, accessori, etichette, plotter tipografici e macchine da cucire professionali. E’ questo l’esito dell’operazione ‘Macumba’ condotta della guardia di finanza di Bologna che dato esecuzione, nelle province di Bologna; Parma; Ferrara; Verona; Brescia; Bergamo; Torino; Macerata; Napoli e Nuoro, a un provvedimento di perquisizione emesso dalla Procura della Repubblica di Bologna nei confronti di 26 persone – italiani, senegalesi e marocchini – facenti parte di una ramificata organizzazione criminale dedita all’importazione, produzione e commercializzazione di capi d’abbigliamento e accessori di moda contraffatti. L’operazione, che ha visto l’impiego di oltre 150 finanzieri, si è svolta a conclusione di una complessa attività investigativa condotta dal gruppo tutela mercato beni e servizi del nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna, sotto il coordinamento dei sostituti procuratori Stefano Orsi e Augusto Borghini, finalizzata a contrastare la proliferazione del mercato del falso nel settore economico della moda, e ha permesso di individuare 3 siti di produzione e 1 tipografia, nonché di sequestrare oltre mezzo milione di capi contraffatti e macchinari utili alla produzione. Le indagini, anche di natura tecnica (intercettazioni telefoniche e telematiche), supportate da servizi di pedinamento, osservazione e controllo, sono partite dal monitoraggio di alcuni soggetti che operavano nelle province di Bologna, Ferrara, Macerata, Brescia e Nuoro e proponevano via internet la vendita di capi di abbigliamento e accessori dei più famosi brand di moda, tra cui Chanel; Louis Vuitton; Balenciaga; Lacoste; Ralph Lauren; Gucci; Fred Perry e Moncler. Nello specifico, attraverso la sezione Marketplace di Facebook e diversi siti web di annunci di compravendita, commercializzavano, sia all’ingrosso, sia al dettaglio, merce contraffatta su tutto il territorio nazionale. Sui social network venivano quindi creati appositi gruppi all’interno dei quali veniva pubblicizzata la merce esplicitamente indicata come non originale. I potenziali acquirenti contattavano gli amministratori del gruppo e, dopo aver ricevuto indicazioni specifiche, effettuavano gli ordini dei prodotti che venivano spediti dai venditori subito dopo l’avvenuto pagamento, effettuato tramite Paypal, versamento su PostePay o bonifico bancario. Le attività investigative hanno poi permesso di accertare come i venditori on line si approvvigionassero dei capi contraffatti o importandoli direttamente dalla Turchia e dalla Cina oppure rivolgendosi a una ben organizzata e specializzata rete di produzione, costituita da cittadini italiani e senegalesi con varie ramificazioni sul territorio nazionale, che provvedeva ad acquistare capi “neutri”, cioè privi di marchio, che poi venivano assemblati e rifiniti all’interno di laboratori clandestini (individuati nelle province di Bologna e Brescia), attraverso l’apposizione di minuteria metallica e loghi dei vari brand che venivano prodotti in provincia di Brescia e Napoli, dove è stata individuata una vera e propria stamperia di etichette.


Articolo pubblicato il giorno 17 Luglio 2019 - 12:18
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