Napoli. L’arciconfraternita impugna il provvedimento di commissariamento dell’arcivescovo Crescenzio Sepe. L’istituzione laica “Nostra Signora dei Sette Dolori in San Ferdinando di Palazzo”, proprietaria di una delle più prestigiose chiese di Napoli, quella denominata degli artisti, ha presentato ricorso al Tribunale Ecclesiastico contro il commissariamento. E’ un nuovo capitolo della battaglia giuridica che contrappone da aprile la Curia Arcivescovile di Napoli all’antica istituzione laica, proprietaria di alcuni immobili nel centro di Napoli e di Cappelle nella parte monumentale del cimitero di Poggioreale. A rendere nota la decisione il vicesuperiore della Arciconfraternita, l’ex generale dei carabinieri Maurizio Scoppa, eletto ad aprile dagli oltre 200 confratelli, esponenti della nobiltà e di antiche famiglie napoletane. Il legale dell’Arciconfraternita è l’ avvocato Riccardo Imperiali di Francavilla. Nel 2016 difese vittoriosamente la Deputazione del Tesoro di San Gennaro, altra istituzione laica, che gestisce la Cappella del Tesoro del patrono di Napoli, in una controversia con la Curia di Napoli che voleva cambiare i criteri di nomina dei componenti della Deputazione. Intanto i confratelli, presente lo stesso avvocato Imperiali, hanno impedito l’accesso nella Chiesa di San Ferdinando di Palazzo ai tre commissari nominati dalla Curia. “La chiesa è nostra da secoli – dice uno dei confratelli – la fondarono a metà del ‘500 cavalieri spagnoli e napoletani. Pergolesi scrisse per la nostra Arciconfraternita lo ‘Stabat Mater’ ed i re Borbone-Due Sicilie, a partire da Carlo, nel 1743, e poi i loro discendenti, hanno il titolo onorifico di Superiore della Confraternita”. “Nel 1841 il re Ferdinando II modificò per l’ultima volta lo Statuto della Confraternita – aggiunge il generale Scoppa – che da allora non è mai cambiato. Tutti i governi dell’organismo, composti dal vicesuperiore e da tre assistenti sono stati eletti a norma di questo Statuto”. Nel 2018 il cardinale Sepe varò una riforma delle Confraternite che prevedeva il nulla osta della Curia sulla nomina degli organi direttivi, il controllo dei bilanci, ed il versamento di una quota dei redditi delle Confraternite alla Curia. “La riforma non è mai stata recepita dalla nostra assemblea e dunque gli organi direttivi sono nella pienezza dei poteri – aggiunge Scoppa – abbiamo il dovere di tutelare gli interessi degli attuali confratelli e la memoria di chi ci ha preceduto. Dobbiamo lasciare intatto il patrimonio culturale e materiale della Confraternita a chi verrà dopo di noi”. Un primo ricorso, presentato, a norma di diritto canonico, allo stesso cardinale Sepe, è stato respinto. La battaglia giudiziaria si sposta ora al Tribunale Ecclesiastico di Roma. La Curia invece parla di “grave atto di insubordinazione” ed ha nominato tre commissari, che i laici non riconoscono.
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