Quattro anni di reclusione per intralcio alla giustizia: è la condanna emessa ieri dal Giudice Monocratico del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di un vice ispettore della Polizia Penitenziaria, in servizio alla casa circondariale “Francesco Uccella”.
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Il processo riguardava condotte successive ai fatti del 6 aprile 2020, quando alcuni agenti furono accusati di violenze contro i detenuti del reparto Nilo del carcere. L’imputato, non coinvolto nelle prime indagini, avrebbe poi esercitato pressioni su due detenuti già sentiti come testimoni, minacciandoli implicitamente per farli ritrattare o modificare le loro dichiarazioni.
Secondo le vittime, l’agente – che all’epoca ricopriva il ruolo di coordinatore della Sorveglianza Generale – li avrebbe avvicinati per convincerli a deporre in suo favore, alterando così il corso della giustizia.
Già nel gennaio 2022, il GIP aveva disposto per lui la sospensione dall’ufficio per sei mesi, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza. A processo concluso, il giudice lo ha condannato per il reato di intralcio alla giustizia (art. 377 c.p.), aggravato dalla sua posizione di pubblico ufficiale.
La condanna non è ancora definitiva: l’imputato potrà fare ricorso, e i giudici dei successivi gradi potranno ribaltare la sentenza o confermarla. Per legge, egli rimane innocente fino all’esito del giudizio di appello.
L’episodio si inserisce nel dopo-scandalo delle violenze del 2020, quando alcuni agenti furono accusati di abusi sui detenuti durante la rivolta scoppiata per le restrizioni anti-Covid. Le indagini portarono a misure cautelari per diversi poliziotti, ma questo caso riguarda un tentativo successivo di alterare le prove.
L’esito del processo conferma l’impegno della magistratura nel perseguire anche i reati contro il corretto svolgimento della giustizia, specie quando commessi da chi dovrebbe garantirne il rispetto.
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