Cronaca Giudiziaria

Clan Gionta, l’ascesa di Gaetano Amoruso e il famoso pizzino di Aldo Gionta: ecco il testo integrale

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Torre Annunziata, l’ascesa di Gaetano Amoruso: il genero del boss al vertice del clan Gionta

Dopo anni di carcere, è tornato a Torre Annunziata come nuovo reggente del clan Gionta. Gaetano Amoruso, genero di Aldo Gionta, figlio di donna Gemma Donnarumma e Valentino Gionta, ha assunto un ruolo di primo piano all’interno dello storico sodalizio camorristico oplontino.

Una posizione di vertice legittimata non solo dai legami familiari con la dinastia criminale, ma anche dalla fiducia che, nonostante la detenzione, il boss Aldo continuava a riporre in lui.

La conferma arriva da un “pizzino” inviato dal carcere dal boss Aldo Gionta al figlio Valentino (classe 1991) e allo stesso Amoruso, in cui impartiva precise disposizioni. Il capoclan, attualmente detenuto all’ergastolo e primogenito del fondatore Valentino Gionta (classe 1953), rivendicava il proprio ruolo decisionale nel clan e dettava le linee guida per la gestione delle attività illecite.

Di quel pizzino si è parlato negli anni scorsi ma il suo vero contenuto non è stato mai rivelato. Ora la Dda di Napoli lo ha allegato nelle oltre 260 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Antonino Santoro che due giorni fa ha portato in carcere donna Gemma Donnarumma e altri 17 affiliati.

Il pizzino lettera di Aldo Gionta, detto “Alduk” figlio primogenito del padrino Valentino è indirizzato anche al cognato Gaetano Amoroso.

In particolare, ordinava di concentrarsi sulla riscossione delle estorsioni, con l’obbligo di destinare parte dei proventi alla moglie Annunziata Caso, e invitava i destinatari del messaggio alla massima cautela nelle comunicazioni, consapevole delle probabili intercettazioni. Non mancava un’esortazione all’addestramento militare: “Imparate a usare mitra, fucili e kalashnikov”, scriveva il boss. “Vi dirò io cosa fare quando saprete usarli bene”.

Amoruso, scarcerato il 9 novembre 2021 dopo una lunga detenzione, ha trovato il clan decimato da una recente operazione antimafia: il 30 novembre dello stesso anno, l’ordinanza cautelare 371/21 aveva portato all’arresto di figure apicali dell’organizzazione, tra cui Giuseppe Carpentieri, Teresa Gionta, Alfredo Della Grotta e Valentino Gionta (classe 1983). Un vuoto di potere che Amoruso ha colmato rapidamente, imponendosi come nuova guida del gruppo.

La sua centralità viene confermata anche dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Izzo, che ha indicato Amoruso come elemento di spicco del clan fin dal 2009. Secondo Izzo, dopo il tramonto della reggenza Carpentieri, la leadership sarebbe stata assunta in tandem da Amoruso e Pasquale Romito, con il primo responsabile della cassa del clan e il secondo del settore estorsivo.

Dunque, non solo legami di sangue ma anche peso operativo e fiducia interna: così Gaetano Amoruso, genero del “poeta” Aldo Gionta, è diventato il punto di riferimento del clan nel delicato processo di riorganizzazione post-repressione.

Ecco il integrale del pizzino di Aldo Gionta

“Caro figlio,
non permetterti mai più di prendere decisioni importanti senza il mio permesso. Ricorda che, anche da qui, sono io a comandare.
Non ti preoccupare di tuo figlio, se non lo sai curare tu, ci penserò io. Ora pensa solo a fare soldi.

Digli che io devo ancora ricevere 26 mila euro:

13 mila lui,

13 mila li dai a tua madre.

Ricorda anche che devi dare 2 mila euro a ‘Tatore’.
E un’altra cosa: fate molta attenzione a dove parlate, soprattutto con tuo cognato, perché ci sono sicuramente microspie.
State attenti, mi raccomando.

Poi, vi voglio dire un’altra cosa: imparate a sparare con mitra, fucili e kalashnikov.
Imparate a usarli bene, in posti dove non arrivano gli sbirri.
Quando sarete in grado di maneggiarli con sicurezza, sarò io a dirvi come e quando usarli.

Per ora state calmi. Portate pazienza e restate sempre uniti. Dimostrate che siete uomini.
Quando sarà il momento, ci sarà un regalo per voi.”

 Uno spaccato inquietante della mentalità criminale del clan Gionta

Il pizzino di Aldo Gionta è uno spaccato inquietante della mentalità criminale che permea da decenni intere famiglie a Torre Annunziata, in particolare quella dei Gionta. Non si tratta solo di un ordine mafioso: è la rappresentazione viva e brutale di una cultura criminale radicata, trasmessa come un’eredità da padre in figlio, da suocero a genero, come se fosse un mestiere qualsiasi — solo che qui il “lavoro” è il comando armato, l’intimidazione, la gestione di denaro sporco e la minaccia costante alla vita altrui.

In questo messaggio, Aldo Gionta – boss detenuto all’ergastolo, figlio del fondatore Valentino “’o Pazz” e padre di altri affiliati – non solo rivendica il controllo del clan anche da dietro le sbarre, ma impone con fermezza la gerarchia familiare e mafiosa.

Decide a chi spettano i soldi, ordina come devono essere spartiti i proventi illeciti, controlla ogni mossa dei suoi uomini e ammonisce chi osa agire senza la sua autorizzazione.

Ma c’è di più: invita esplicitamente ad addestrarsi con armi da guerra, in zone lontane dagli occhi della polizia. Mitra, fucili, kalashnikov. È un incitamento diretto alla violenza, all’uso sistematico della forza per mantenere il potere sul territorio.

La frase “imparate a sparare” non è solo un consiglio operativo, ma il simbolo di una visione del mondo in cui il comando si conquista con il piombo, e la lealtà si misura in base a chi è disposto a uccidere per il “clan”.

Dietro questo biglietto c’è l’essenza del sistema camorristico: il familismo criminale, la trasmissione dei codici mafiosi da una generazione all’altra, come fosse un’eredità culturale. I figli non ereditano solo un cognome: ereditano un destino segnato dalla devianza, dalla prigione e, spesso, dalla morte.

La Torre Annunziata dei Gionta è, da decenni, una città ostaggio di queste dinamiche. Dove le famiglie criminali, invece di spezzare il ciclo dell’illegalità, lo alimentano come un dovere d’onore, crescendo figli che non sognano un futuro diverso, ma solo di diventare “reggenti”, “cassieri”, “soldati”.

Questo pizzino, con il suo linguaggio crudo e minaccioso, non è solo un messaggio interno al clan. È una testimonianza viva di quanto ancora oggi la camorra continui a educare, istruire, plasmare vite e coscienze all’ombra della violenza.

E’ la stessa camorra che 40 anni fa decise la morte di un giornalista coraggioso come Giancarlo Siani.

Un Paese civile non può ignorare che in certi contesti la criminalità è educazione quotidiana, e che solo un intervento culturale, scolastico e sociale profondo potrà spezzare questa catena. Altrimenti, i pizzini continueranno ad arrivare. E le nuove generazioni continueranno a leggerli come comandi da eseguire.

RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato il giorno 16 Luglio 2025 - 22:24

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Pubblicato da
Giuseppe Del Gaudio

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